Franco Panizza

Franco Panizza

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  • CONCORDATO PREVENTIVO, UNA PROPOSTA DI LEGGE PER EVITARNE GLI ABUSI

    (comunicato stampa) - Un disegno di legge per prevenire gli abusi e correggere gli effetti negativi del concordato preventivo. Lo ha depositato in Senato il segretario politico del PATT, sen. Franco Panizza.

    "Ancora una volta - dice Panizza - torno sul tema del concordato preventivo, sul quale la scorsa estate alcune modifiche erano state introdotte, a seguito di un mio ordine del giorno e di alcuni specifici emendamenti al Codice degli appalti, per prevenire l'utilizzo distorto di questo strumento. Questo perché, nelle more della normativa, restano ancora molti punti che hanno bisogno di essere corretti.  

  • IL CORAGGIO DI ESSERE PROTAGONISTI (sintesi della tesi congressuale)

    IL CORAGGIO DI ESSERE PROTAGONISTI
    Passione, Governo, Autonomia


    Sintesi della tesi congressuale presentata da:
    Franco Panizza - candidato alla Segreteria politica
    Simone Marchiori - candidato alla Vicesegreteria politica

     

    Il perché di una scelta

    Quello che ci attende non è un congresso come tutti gli altri. Mai, come in questa fase, la nostra Autonomia è in pericolo, sottoposta ad attacchi da parte di un'opinione pubblica nazionale che non vuole coglierne il valore in termini di sviluppo e di responsabilità, ma vuole ridurla alla stregua di piccolo privilegio localistico.

  • IN DUECENTO SOTTOSCRIVONO LA TESI CONGRESSUALE PANIZZA-MARCHIORI

    Il coraggio di essere protagonisti.

    In poche ore prima del suo deposito ufficiale, la tesi congressuale condivisa con tanti attivisti del PATT e redatta da me e da Simone Marchiori ha raggiunto le quasi 200 firme (per leggerla clicca qui).

    Tanti militanti di tutti i territori del Trentino ed una presenza particolarmente significativa di amministratori provinciali, sindaci e amministratori locali, presidenti delle comunità di valle, segretari di sezione e altri dirigenti del nostro partito, autorevoli esponenti del movimento giovanile e del movimento femminile, ma anche del mondo del volontariato, dell'associazionismo e degli Schützen.

    A ciascuno di loro il nostro più sentito ringraziamento:
  • TV, INTERVENIRE PER GARANTIRE LA RICEZIONE DEL DIGITALE TERRESTRE A TUTTI I TERRITORI

    COMUNICATO STAMPA - "Anche in alcune zone della Provincia di Trento, come in altre realtà con una orografia del territorio simile alla nostra, nonostante siano trascorsi diversi anni dall'introduzione del digitale terrestre, sono ancora molte le realtà dove la ricezione televisiva è scarsa se non addirittura assente.
  • AFFIDO CONDIVISO: DDL DIVINA TROPPO SBILANCIATO SUGLI OPERATORI DEL SETTORE, NON METTE AL CENTRO INTERESSE BAMBINI

    (COMUNICATO STAMPA) - E’ vero: il Senatore Divina mi ha chiesto di sottoscrivere il suo disegno di legge sull'affido condiviso. Se non l'ho fatto e ho presentato un mio testo è perché il testo di Divina mi è sembrato sbilanciato, nel senso che guarda un po’ troppo a chi opera e lavora nel settore, piuttosto che all'interesse  dei genitori e soprattutto dei bambini. 

    Il mio ddl parte da un testo frutto del lavoro di diverse associazioni che si occupano del tema, già presentato durante la scorsa legislatura, e decaduto con la sua fine. 

    Sollecitato negli scorsi mesi dalla sezione del Trentino-Alto Adige dell’associazione “Figli per sempre”, ci abbiamo lavorato assieme, approfondendo e migliorandone alcuni punti, ma convinti del fatto che l'impianto del testo presentato durante la scorsa legislatura, tratteggi il giusto percorso per tutelare i bambini e per giungere davvero a una possibilità d’affido condiviso. 

     

    Come si può vedere in tutto questo c’è solo il mio diritto ad esercitare le mie valutazioni, in questo supportato dal confronto con l'associazione "Figli per Sempre" e con chi vive ogni giorno sulla propria pelle una situazione di oggettivo disagio. 

     

    Il mio obiettivo è quello di risolvere il problema; per questo - nonostante la strumentalità della polemica sollevata dal Senatore della Lega -  sono disposto a confrontarmi con lui e con le associazioni e tutti i soggetti interessati, per giungere a un testo condiviso, a condizione che questo metta al centro l’interesse dei genitori e soprattutto quello dei bambini. 

  • MIGLIORARE LA NORMATIVA SULL'AFFIDAMENTO CONDIVISO

     

    COMUNICATO STAMPA - Il Senatore ha presentato un disegno di legge per correggere la legge n. 54/2006 "Occorre migliorare la giurisdizione italiana in materia di affido condiviso, perché mentre nel mondo occidentale il principio della bigenitorialità viene applicato con sempre maggior vigore e incisività, in Italia, solo assai faticosamente, si è riusciti a far passare come forma privilegiata l'affidamento condiviso".

     

  • TERRITORIALI PER DIFENDERE L'AUTONOMIA*

    Caro direttore,

    il dibattito tra il presidente della Comunità territoriale della Val di Fiemme Raffaele Zancanella e l’onorevole Lorenzo Dellai, ospitato sul Trentino, mi suscita alcune riflessioni che vorrei condividere con lei e con i suoi lettori, partendo anzitutto dalle parole dell’ex presidente della nostra Provincia. Dellai indica due possibilità per costruire una rappresentanza politica del Trentino e della sua autonomia. La prima, che per una serie di ragioni storiche e culturali lui non ritiene percorribile, è il modello Patt-Svp-Union Valdotaine;

  • Cosa farò per l’Autonomia a Roma

    A Roma porterò le istanze autonomistiche della nostra terra in funzione dell’accordo politico elettorale stipulato tra il Partito Autonomista Trentino Tirolese, il Partito Democratico e l’Unione per il Trentino per le elezioni del Senato nei collegi del Trentino, che punta a fare sintesi tra le culture politiche storiche della nostra terra: l’autonomismo, il riformismo, il popolarismo.

    Tutto questo in un’epoca drammatica, che vede l’Italia in profonda crisi politica, economica e istituzionale. Epoca nella quale, tuttavia, le esperienze di autogoverno responsabile, come quella del Trentino, possono diventare la “soluzione” e non il “problema” ai mali che affliggono il Paese. Possono, in altre parole, rappresentare un modello e una speranza anche per altri territori che non hanno potuto beneficiare dei nostri diritti acquisiti.

    Attraverso la nostra presenza in Senato, le terre autonome, quelle che hanno saputo valorizzare questo diritto garantito dalla Costituzione, legittimato per altro da un’esperienza secolare, possono essere protagoniste e giocare un ruolo cruciale nella fase di ricostruzione delle relazioni tra Stato e Autonomie locali, rappresentando così un punto di riferimento forte per lo sviluppo della nostra Autonomia provinciale e regionale.

    Gli impegni presi insieme agli alleati hanno come obiettivo – cito l’accordo sottoscritto dai segretari delle tre forze politiche in data 19 gennaio 2013 –  la difesa e la valorizzazione delle autonomie speciali, nel quadro di una più forte Europa dei Popoli e delle Regioni e di una Repubblica italiana fedele al rispetto dei diritti delle persone, delle minoranze e del protagonismo responsabile dei territori, ispirato ai principi di sussidiarietà e solidarietà. 

     

    1. Un Trentino al servizio dell’Italia

    Se sarò eletto, il mio compito a Roma sarà quello di difendere e accrescere la forza del nostro Trentino. Ma non voglio solo giocare in difesa; non sono interessato a una difesa solo sindacale, che pure ci vuole, della nostra realtà territoriale. Dobbiamo essere prima consapevoli e poi valorizzare l’idea di sviluppo che in questi anni, anzi decenni, abbiamo costruito in Trentino.  Abbiamo creato sviluppo all’interno di una grande coesione sociale, senza conflitti, senza lasciare nessuno indietro, né le persone, né i singoli territori. Non è una cosa da sottovalutare in un momento in cui la crisi morde dappertutto e le tensioni sociali sono elevate.

    È stato così perché non abbiamo regalato i soldi a grandi imprese che poi ci avrebbero abbandonato; è stato così perché in ogni situazione difficile abbiamo cercato di metterci tutto il nostro impegno, perché sappiamo che se qualcosa cade, non riguarda solo quelli che stanno sotto le macerie, ma tutti noi. Ogni piccola azienda che rischia di chiudere la sentiamo come nostra, una ferita al nostro territorio, qualcosa che ci interroga personalmente, oltre che come amministratori. È stato così perché noi intendiamo lo sviluppo come un movimento collettivo, di molti, non di pochi. Lo facciamo con la cooperazione, con le aziende familiari e con tutto quello che ci rende orgogliosi di essere trentini. 

    Questo modo di fare governo, questo modo di crescere è un modello di sviluppo che oggi può insegnare molto, anche al di fuori dai nostri confini. Quando vediamo i grandi scandali, dalla Parmalat al Monte dei Paschi di Siena, capiamo che si sono potuti verificare non solo per responsabilità dei singoli, che pure ci sono, non solo per il contesto giuridico e politico entro cui sono accaduti, ma perché la grande dimensione ispira cattivi comportamenti, molto spesso. La nostra dimensione di piccola e media impresa, e soprattutto la dimensione della cooperazione, è un antidoto naturale contro le follie del denaro che non genera più lavoro e benessere, ma solo altro denaro, in una spirale speculativa che non ha fine, fino al momento in cui crolla tutto.

    La nostra cooperazione ci fa stare ben piantati per terra; le nostre politiche industriali hanno sempre al centro dell’attenzione le persone e il lavoro. Nel nostro modello non c’è spazio per la speculazione finanziaria. Oggi questo modello può insegnare tanto, anche al di là di noi stessi. Mi inorgoglisce poter rappresentare al Senato della nostra Repubblica anche questi caratteri del nostro Trentino. Noi non siamo nella situazione di dover chiedere; siamo nella situazione anche di rappresentare un punto di riferimento, valoriale e comportamentale, molto importate. Non siamo il sindacato di un territorio, ma siamo i difensori di modo di vivere che oggi si rivela più solido e da più certezze di tanti altri modelli. Il Trentino ha tante cose da dire, non da chiedere.

     

    2. Autonomia: una cultura che arricchisce l’idea di democrazia

    In queste elezioni gli autonomisti trentini sono alleati con il Pd. Le ragioni di questa alleanza sono molte: la prima è che solo in questo modo possiamo difendere al meglio la nostra autonomia. Stando da soli non avremmo raccolto la forza sufficiente per difendere gli interessi del territorio; alleandoci con un partito che già nel passato e nel presente, anche nelle nostre amministrazioni, ha sempre difeso le ragioni dell’autonomia, è per noi la garanzia più grande per correggere le decisioni degli ultimi governi che hanno portato a una riduzione della nostra autonomia.

    La nostra è un’alleanza di scopo, collegata com’è al nostro bisogno di dare più respiro all’autonomia, perché se l’autonomia non diventa patrimonio culturale non solo della nostra gente e dei nostri rappresentanti, ma dell’insieme, o almeno della maggioranza, dei partiti nazionali, per noi sarà più difficile difenderla. 

    I valori dell’autonomia sono strettamente legati ai valori democratici, di cui il Pd si fa portatore. Guardiamo con più attenzione i due termini (autonomia e democrazia) e vedremo che hanno molte convergenze, anche se l’una non può essere ridotta o annullata nell’altra. Essere democratici significa fondamentalmente avere un governo più vicino al popolo, in cui le decisioni siano prese non da un’oligarchia, ma dall’insieme della popolazione. Ma questa è anche la concezione dell’autonomia, come autogoverno del popolo.

    Essere democratici significa dare attenzione a tutto ciò che significa arte di associarsi, proprio per dare, nella libertà, a ciascuno la possibilità di realizzare la sua ambizione di successo. Democrazia non significa esclusivamente il rapporto tra il singolo cittadino isolato e il suo governo, o una partecipazione che si ferma al voto. No, democrazia significa ricchezza di partecipazione, libertà di associarsi, l’influenza di una molteplicità di soggetti che partecipano alla vita collettiva. In Trentino abbiamo una grande tradizione associativa, che va dal volontariato alla cooperazione. Per noi Trentini democrazia significa partecipazione e associazione; anche su questo piano ci ritroviamo insieme. Quando vedo vivere, crescere e svilupparsi le nostre cooperative, ne vedo il valore economico, naturalmente, ma ne vedo anche il modello di vita economica, che comprende anche la vita sociale e la partecipazione democratica. Il modo come sono governate le cooperative sono un modello di partecipazione, è un modo di fare impresa che si fonda sul capitale umano, sulla partecipazione e il coinvolgimento di tutti. La nostra cooperazione porta con sé l’essenza della democrazia. In questo senso per noi sviluppare un discorso con il Partito Democratico significa anche offrire un contributo originale alla crescita di questa parte politica. C’è una cultura antica della sinistra che da sempre privilegia il rapporto con la grande impresa e i suoi operai sindacalizzati. Naturalmente fa parte della loro storia - lo capisco - ma noi possiamo arricchire questa cultura, perché il nostro modo di vedere la crescita economica non è disgiunto, non è lontano dai nostri valori; quando noi parliamo e sosteniamo la cooperazione, noi sosteniamo un modello democratico di sviluppo economico, di compartecipazione di ciascuno alla formazione della ricchezza. Ecco perciò che la nostra alleanza con il PD non è solo strumentale, non serve solo a contrastare la logica della legge elettorale che costringe tutti ad allearsi, ma ha anche delle ragioni di fondo: la prima è nella nostra capacità di dare ancora più vita, più vividezza, più ricchezza al termine democratico, perché non esiste un valore democratico che non comprenda l’autonomia; la seconda è perché arricchiamo con la nostra esperienza economica, fondata sulla cooperazione, sull’impresa familiare, una cultura che ha sempre guardato con distacco a queste esperienze, che invece nel tempo si sono rivelate le più solide e le più capaci di promettere coesione sociale e miglioramento delle condizioni economiche per tutti e non solo per pochi.

     

    3. I valori del nostro sapere vivere insieme

    Vorrei approfondire qual è il senso della nostra autonomia e perché è la stella che ci guida, che ci ha guidato nel passato e che dovrà guidarci nel futuro. La nostra idea di autonomia non è solo un fatto giuridico. Non siamo solo autonomi perché vogliamo governarci da noi stessi; anche questo, naturalmente, ma non solo questo. La nostra autonomia ha una natura identitaria. Ci riconosciamo nell’autonomia, perché ci riconosciamo in noi stessi, come collettività, come popolo. 

    Abbiamo il culto del nostro territorio, non solo perché è nostro, ma perché non ci possiamo immaginare senza i nostri panorami, le nostre valli, i nostri centri abitati. Sentiamo un’appartenenza formidabile con questa terra, perché non potremmo vivere, come Trentini, in un panorama diverso; perché attraverso il nostro modo di trattare il territorio, le nostre montagne, i nostri laghi, ritroviamo i nostri valori. Sono i nostri valori che ci fanno Trentini; non è solo una questione geografica, non è solo una questione di confini, ma è perché ci identifichiamo, tutti, nei nostri valori.

    Al centro dei nostri valori c’è la famiglia, perché sappiamo che è dentro la famiglia che ognuno ritrova la solidarietà, quando c’è bisogno, ma ritrova anche la capacità di fare impresa, di fare cooperazione, di crescere insomma, anche economicamente. Senza la famiglia non ci sarebbe il Trentino, questo è il nostro valore fondante. Ma abbiamo anche le relazioni umane. Noi sappiamo che alla base delle relazioni economiche, delle relazioni sociali, persino delle relazioni politiche, c’è sempre la relazione tra le persone. E in questo ci riconosciamo tutti. Sappiamo che dietro un’impresa ci sono le persone; che quando pensiamo a una norma, a una legge, a un provvedimento, sappiamo che incide sulla vita delle persone. Ecco questa sensibilità a pensare alle persone è un altro dei nostri valori fondanti. Senza questa attenzione al fatto che le cose non sono astratte, il governo non è mai un esercizio tecnico; c’è questa idea che le persone contano e per noi conta ciascuna persona, dal professionista di Trento al contadino più lontano del villaggio più interno. Noi siamo le nostre persone e il rispetto che vi portiamo.

    Siamo, in una parola, una comunità. E non è cosa scontata, soprattutto di questi tempi. Noi vediamo ogni giorno come le città metropolitane si disgreghino, come la convivenza civile sia diventata più faticosa, più difficile, come ognuno guardi all’altro come un disturbo, come un problema. Noi no. Noi Trentini no. Noi abbiamo questo senso della comunità, sappiamo che vinceremo tutti insieme e perderemo tutti insieme, che siamo una collettività che si muove sempre con questo spirito collettivo, solidale e cooperativo. Questa nostra forza di essere comunità è la cosa più preziosa che abbiamo; dobbiamo conservarla e dobbiamo svilupparla. E se restiamo comunità il futuro non ci sarà mai paura.

    Anche nella promozione del nostro turismo, che è il modo più efficace che abbiamo di far conoscere la nostra realtà e di valorizzarla, abbiamo sempre attenzione a presentarci nella nostra autenticità. Non vogliamo assomigliare a nessuno, non vogliamo imitare nessuno, cerchiamo di cogliere quanto di meglio si trova altrove, come servizi, come strutture, come tecnicalità, ma vogliamo restare noi stessi. Perché sappiamo che questa è la nostra forza: l’autenticità. 

    Vogliamo essere moderni, perché non abbiamo mai avuto una concezione né isolata, né claustrofobica del nostro governo; abbiamo portato la banda larga in montagna; vogliamo essere collegati con il mondo; vogliamo essere agganciati al mondo che corre; ma vogliamo restare noi stessi, con la nostra anima, con le nostre caratteristiche, con il nostro cuore trentino.

    Anzi, proprio perché la globalizzazione avanza e il mondo diventa piatto, tanto che un prodotto può essere pensato in California, prodotto in Cina e contabilizzato in Ungheria, c’è una crescente domanda di distinzione, di autenticità. Nel mondo globale si vince fondamentalmente in due modi: o perché si ha una potenza globale (un’impresa multinazionale capace di parlare al mondo, produrre dovunque nel mondo) o perché si è unici, rari, autentici. Noi, per la nostra dimensione geografica, per la nostra storia, abbiamo questa seconda strada davanti a noi. Il nome Trentino, il marchio Trentino è la nostra impronta in tutto quello che facciamo. Siamo qualcosa di unico nel panorama italiano, europeo e perciò globale. Dobbiamo coltivare la nostra unicità e per farlo dobbiamo restare autentici, restare noi stessi. Questo non vuol dire non muovere nulla, essere conservatori oltre ogni misura, ma significa inverare continuamente la nostra identità. Capire, ogni volta che il mondo si muove, quale spazio il cambiamento riserva al Trentino e come possiamo fare per conquistarlo e, se non c’è, per crearlo. È questa la nostra ambizione, la nostra visione: crescere sull’autenticità, sull’autogoverno, su noi stessi. C’è tutto questo dentro il senso della nostra autonomia. Non è separazione, ma unione della nostra identità nel rapporto con il mondo che cambia. Se saremo sempre unici e pronti a cambiare sempre, proprio per restare noi stessi, supereremo ogni problema.

     

    4. Elezioni cruciali per il Trentino e la sua autonomia

    Queste elezioni sono fondamentali per capire che strada prende la nostra autonomia. Vorrei subito precisare che quello che noi proponiamo non è un’idea di autonomia “egoista”, rinchiusa in se stessa. Abbiamo dimostrato con i fatti, e il centro-sinistra autonomista ne è la bandiera, che sappiamo assumerci le nostre responsabilità fino in fondo, con serietà, rigore e qualità delle nostre scelte. Fino agli inizi degli anni Duemila, eravamo - dobbiamo riconoscerlo - dei privilegiati, ma in questi ultimi anni le cose sono profondamente cambiate e quello che una volta era un privilegio sta lentamente diventando una discriminazione. Siamo stati attaccati durante il governo Lega/Berlusconi dalle leggi sul federalismo che hanno penalizzato il Trentino e l’Alto Adige a favore del sud e delle altre regioni del nord. Poi il governo Monti ha fatto i tagli lineari che non hanno considerato come da noi sul bilancio della provincia pesa tutta la spesa pubblica, nazionale e locale, mentre nelle altre regioni, anche a statuto speciale, ce n’è solo una parte. Da noi l’università viene pagata con i soldi del bilancio della provincia, così la protezione civile, i comuni e quant’altro. Nelle altre regioni l’università la paga lo stato nazionale, le pensioni le paga il bilancio nazionale. Togliere la stessa percentuale a ogni regione non solo non è equo, ma punisce i virtuosi, quelli che gestiscono bene la cosa pubblica, quelli che non creano deficit, quelli che sono responsabili. Questa profonda discriminazione deve trovare un modo per essere riparata. Noi siamo assolutamente convinti che la solidarietà nazionale sia per noi un preciso dovere. Ma questo non vuol dire accettare un sistema che colpisce “a casaccio”, con effetti assolutamente iniqui. Il sistema che vogliamo è quello che sappia tenere in debita considerazione le competenze realmente esercitate, la spesa pubblica territoriale consolidata (e non solo quella regionale), il peso delle dimensioni (che non consente economie di scala), il rapporto con la capacità di produrre ricchezza e di governare in modo serio e adeguato.

    Per noi Trentini si apre un capitolo importante; dobbiamo riprendere la bandiera della nostra autonomia, fermi nei nostri riferimenti che per noi significano equità e non arbitrio, responsabilità e non spreco, attenzione all’autogoverno e alla gestione oculata delle risorse. Riferimenti che ci impongono di essere solidali, anche accettando i necessari sacrifici, ma nella consapevolezza che Governo e Parlamento adottino un criterio sensato e ancorato a criteri oggettivi, non differenziato a seconda del peso politico o degli interessi in gioco.

    Noi vogliamo crescere con i nostri mezzi; vogliamo l’autonomia perché significa contare sulle proprie forze; non vogliamo privilegi, ma la possibilità di determinare da noi stessi il nostro destino e il ruolo che intendiamo giocare sullo scenario nazionale. Per queste ragioni, se dalle prossime elezioni uscirà vincente la nostra alleanza, potremo star certi che l’azione corrosiva che come Trentino abbiamo sperimentato fino ad oggi potrà finire, o per lo meno cambiare di segno. Mentre se vincerà Berlusconi, l’accoppiata Maroni–Bossi, o ancora Grillo, per la nostra autonomia si apriranno pagine ancora più difficili. Riprendiamoci il nostro destino, facendo vincere le forze che sostengono i valori dell’autonomia, al servizio del Trentino e dell’intero Paese.

     

    5. Il futuro significa più famiglia 

    L’Italia è un paese fondato sulla famiglia e sulla famiglia con figli. C’è un fenomeno negativo che però sta interessando il nostro Paese. Siamo la nazione al mondo dove nascono meno figli. Nella graduatoria mondiale dove sono considerati 220 paesi, l’Italia è al 201° posto. Tanti paesi più poveri del nostro fanno nascere più figli; anche paesi più ricchi del nostro (Stati Uniti, Francia, Inghilterra) fanno nascere più figli. Siamo noi italiani in coda a questa classifica.

    Ma l’Italia non era nel passato un paese con pochi figli, tutt’altro: già nel 1970 l’indice di figli per donna era nel nostro paese di 2,4 e poi, anno dopo anno, è continuato a scendere fino a oggi, con 1,4 figli per ogni donna. Il che significa che con il passare del tempo avremo, se le cose continuano così, sempre meno italiani.

    Naturalmente ci sono tanti fattori che contribuiscono a fare meno figli: ci si sposa più tardi, c’è l’insicurezza economica, c’è soprattutto l’assenza di politiche nazionali specifiche in favore della famiglia. Non si tratta solo di leggi o di incentivi economici, ma di una complessiva organizzazione sociale che non favorisce le famiglie con bambini. Gli asili nido che mancano costringono le donne a scegliere tra il lavoro e la maternità; la discriminazione sul lavoro verso chi ha figli contribuisce a penalizzare le donne nel mondo del lavoro. Bisogna che tutto questo sia cambiato, bisogna che la maternità abbia tutti i vantaggi possibili e sia incentivata e spinta in tutti i modi.

    Abbiamo bisogno di trovare nei ristoranti i menu per bambini, in maniera da permettere anche alle famiglie di frequentarli; abbiamo bisogno di più hotel studiati proprio per le famiglie; abbiamo bisogno di trovare dovunque, nelle stazioni ferroviarie, nei musei, nelle autostrade, luoghi in cui le mamme possano accudire i bambini più piccoli; abbiamo bisogno che i bambini piccoli e le loro mamme siano considerati nelle loro esigenze.

    Noi Trentini sappiamo quanto conta la famiglia e quanto conta avere una popolazione che si rinnova, che presenta sempre nuove generazioni a impegnarsi nel lavoro e nello studio. Non dobbiamo mai dimenticare questo nostro pilastro, questo dato essenziale della nostra società. Allora sia con gli strumenti pubblici, sia attraverso un’opera di persuasione sui soggetti privati, dobbiamo costruire sempre più una società che aiuti la famiglia e la sostenga proprio nella sua principale funzione di ambiente che aiuta la nascita e la crescita di nuovi trentini e nuovi italiani.

     

     

    6. Le imprese creano sviluppo e fanno comunità

    In questo periodo le imprese vivono un momento molto difficile. Il mercato interno è in difficoltà e il segno meno prevale in ogni statistica. Per fortuna c’è un buon andamento delle esportazioni che rende meno drammatica la situazione. 

    Però bisogna fare qualche ragionamento in più, perché non ci possiamo solo limitare a parlare della crisi, o ad auspicare che finisca presto, o sperare che siano presi dei provvedimenti per farla finire al più presto possibile.

    Bisogna ragionare innanzitutto sulle cause della crisi, su ciò che l’ha provocata e sulle conclusioni che da queste vicenda si possono trarre. Occorre fare dei ragionamenti che vadano oltre la congiuntura. Sarebbe lungo raccontare le origini della crisi, dagli Stati Uniti all’Europa. Quel che è certo è che questa crisi non l’hanno provocata le piccole imprese, non l’hanno provocata le cooperative di produzione, non l’hanno certo provocata gli artigiani o tutto il mondo delle imprese familiari.

    Questa crisi l’hanno provocata la grande finanza internazionale e la grande impresa, non la piccola e media impresa. Anzi, il paradosso è che il governo della crisi sta in mano ai governi, ai grandi gruppi finanziari, alle grandi banche, ma chi ne paga le conseguenze sono i piccoli. Oggi le piccole imprese non riescono a ottenere credito dalle banche e quando ci riescono devono pagare un tasso d’interesse tanto alto che è difficile sostenere il suo pagamento. Quando un’impresa paga il denaro all’ 8 o anche al 10 %, per pagare gli interessi dovrebbe avere dei rendimenti netti almeno superiori al tasso d’interesse; ma in un momento come questo avere tassi di profitto netto del 10 % o più è molto difficile. Perciò le imprese che non hanno capitali propri non fanno gli investimenti, non espandono la loro attività e sono in trincea per difendere la sopravvivenza.

    Oggi dobbiamo esprimere un ringraziamento a questi piccoli imprenditori, perché è grazie al loro lavoro che l’occupazione regge, che si continua a produrre reddito, che la situazione evita di diventare ancora più drammatica di quella che è. Sono quasi degli eroi, perché nella distrazione di massa dei media, nella politica di ristrettezza delle banche, nell’assenza di credito, riescono comunque a lavorare e a produrre.

    Occorre perciò che il sistema bancario ritorni a offrire credito alle imprese; non è possibile che si trovino soldi in grande quantità quando si tratta di salvare una banca, come il Monte dei Paschi di Siena, e non si trovino le risorse per finanziare le piccole imprese. Qui si sta compiendo un delitto economico, perché se il tessuto molecolare delle piccole imprese decade, vuol dire che decadono interi territori, il cui benessere non è  legato alla presenza di grandi imprese, ma alla presenza di una rete di piccole e medie imprese.

    Pensiamo un po’ com’è andato avanti lo sviluppo del nostro Paese soprattutto a nord est. Nell’immediato dopoguerra lo sviluppo era tutto a nord ovest, con l’asse Lombardia - Piemonte, o meglio Torino - Milano. C’erano la Fiat, la Pirelli, le grandi aziende che producevano beni di massa e attiravano nuova popolazione. Accanto a questa grande industria che stava sempre sotto i riflettori, che riceveva sostegni pubblici di ogni genere e i cui capi azienda erano considerati dei miti, crescevano i fili d’erba delle piccole e medie aziende nel nord est. Nascevano i distretti industriali, come in Veneto, ma anche nelle Marche, anche nel nostro Trentino. Era un’altra via allo sviluppo economico, più fondata sui valori territoriali, sul lavoro familiare, sulle relazioni umane all’interno delle aziende e fra le aziende con il resto della popolazione.

    Dopo alcuni decenni, la situazione si è capovolta: nel nord est il panorama è in buona parte di crisi: le grandi aziende non assumono più, ma licenziano; gli stabilimenti produttivi vengono o chiusi o ridotti; la ricchezza è sempre più finanziaria e sempre meno produttiva. Il panorama al nord est è opposto: ogni piccola impresa si salda al territorio coma una pianta affonda le sue radici nel terreno per trovare alimento; le famiglie cominciano a fare impresa tutti insieme, mantenendo il legame familiare e creando solidarietà molecolare; la stessa cooperazione cresce e si rafforza mettendo insieme più servizi, i canali distributivi, il marketing e la comunicazione. Questo modello di sviluppo, invece di creare squilibri sociali, finisce con il rafforzare il tessuto economico e con quello anche i valori identitari del territorio. Perché in questo caso lo sviluppo non viene da un’astrazione della finanza, ma dalle competenze diffuse nel territorio, dalla loro voglia di lavorare e di affermarsi.

    Lo sviluppo al nord est è stato realizzato lontano dai riflettori dei media, con grande serietà e con grande discrezione. Spesso si è compiuto nella disattenzione del governo nazionale e solo con l’appoggio dei governi locali. Oggi questo modello è messo in crisi proprio dalla mancanza di credito, dalla necessità di colmare le voragini che le grandi imprese hanno creato e che costringe tutti a pagare tasse sempre più elevate.

    Con il modello originale di sviluppo del nord est abbiamo smentito anche alcuni luoghi comuni. Si diceva che lo sviluppo non va dove non ci sono grandi capitali; e invece da noi i grandi capitali non c’erano, ma c’era tanta competenza e tanta dedizione al lavoro; si diceva che lo sviluppo si concentra nei grandi centri urbani, a Milano, a Torino, e invece abbiamo dimostrato che ci può essere sviluppo anche nelle piccole province, nei territori senza grande densità urbana; si diceva che lo sviluppo si sarebbe concentrato solo nei punti di grande snodo delle infrastrutture, come porti, autostrade, aeroporti; e invece abbiamo dimostrato che c’è sviluppo anche in territori dove al massimo c’è una strada provinciale o poco più; si diceva che per esportare bisogna avere grandi imprese con grandi reti, e invece ci siamo inventati le “multinazionali tascabili”, cioè imprese piccole e medie capaci di conquistare quote di mercato nel commercio internazionale, senza disporre di strutture pesanti.

    Abbiamo smentito tanti luoghi comuni, perché la verità è che l’elemento più prezioso per lo sviluppo è il capitale umano e il capitale sociale, cioè quello che le persone riescono a costruire e rappresentare in un territorio. E noi di questo capitale ne abbiamo a sufficienza.

    Oggi però dobbiamo difendere questo nostro patrimonio che è insieme valoriale ed economico. Non creando una riserva, un’assistenza, che non fa parte del nostro DNA, ma creando le condizioni per cui queste imprese possano continuare a vivere e a prosperare.

    Innanzitutto i problemi del credito, si diceva prima; ma anche far finalmente funzionare strumenti pubblici come l’ICE (Istituto per il commercio estero) che dovrebbe aiutare proprio le imprese più piccole, che non possono permettersi di avere sedi e persone all’estero; ma finora questo soggetto non ha dato buone prove di sé; adesso è sotto riforma e pensiamo che il nuovo governo dovrà rafforzarlo e dargli finalmente efficienza. Ci sono le necessarie semplificazioni fiscali, che possano rendere la contabilità non una fatica e un costo, ma qualcosa che possa essere affrontato con serenità; bisogna abbassare le imposte sulle piccole imprese; bisogna favorire l’inserimento dei giovani nel mondo del lavoro, magari detassando i loro costi fiscali per tre anni. Infatti, cosa ci guadagna lo Stato dall’avere migliaia e migliaia di giovani senza lavoro? Non incassa certo soldi da loro. Invece, se rinuncia alla tassazione dei primi tre anni, è vero che non incassa imposte sul loro lavoro diretto, ma li incassa sui loro consumi (con l’Iva), con il prodotto delle aziende dove lavorano, con le esportazioni e così via.

    Non possiamo sostenere ancora oltre il costo sociale di avere una generazione intera che arriva al lavoro tardi, ci arriva male e senza nessuna solidità.

    C’è poi l’altro grande e nuovo problema degli ultra cinquantenni, che trovano difficoltà a trovare nuova occupazione, quando provengono da situazioni critiche. Per fortuna il ciclo di vita delle persone si è allungato, ma adesso si va in pensione più tardi, perciò si è creata una nuova fascia critica, da 50 ai 65 anni, quando le persone non sono ancora in pensione, ma sono in difficoltà sul lavoro. Non si tratta solo degli esodati, che tecnicamente si trovano senza lavoro e senza pensione, ma di una fascia generazionale che viene oggi all’attenzione generale proprio per questa tenaglia: da un lato la pensione che si allunga nel tempo e il lavoro che si accorcia. Anche in questi casi dovremo pensare a incentivi, a norme, a provvedimenti che possano far utilizzare da parte della società risorse che hanno esperienza e qualità.

    Tutto questo perché nella nostra visione l’economia non è staccata dal resto delle cose. Non abbiamo una visione ragionieristica della politica economica e della vita sociale. Sappiamo che per noi il sociale è avanti a tutto; le persone sono avanti a tutto. Vogliamo il lavoro per i giovani e per tutti, non solo come fonte di reddito, ma perché il lavoro offre una posizione sociale, offre sicurezza personale ed è l’elemento principale su cui si costruisce la coesione sociale.

    Quando difendiamo la cooperazione, lo facciamo perché sappiamo che lì non c’è solo l’elemento economico, ma l’elemento umano, che fa di quell’attività economica qualcosa di importante non solo sul piano materiale, ma anche su quello spirituale, valoriale. Fare cooperazione significa fare società in miniatura, esercitare solidarietà come regola ordinaria di convivenza. Quando difendiamo la piccola impresa o, ancora di più, l’impresa familiare, è perché vediamo che lì c’è una rappresentazione del mondo che vorremmo, efficiente, ma anche solidale; dedita al lavoro, che non dimentica che intorno, accanto, sopra al lavoro c’è la famiglia, c’è la comunità in cui si vive e rispetto alle quali si hanno doveri, oltre che il vantaggio di sentirsi più sicuri e più solidali. Quando difendiamo l’artigianato non lo facciamo per conservatorismo, ma perché sappiamo che quella competenza che esercita l’artigiano rappresenta la sua vita e non è solo un mezzo per procurarsi il reddito per vivere.

    La nostra agenda economica è perciò questa: difendere, esaltare, sviluppare le forme di economia che partono dal basso, che sono legate al territorio, che sono fondate sui valori familiari. Non siamo contro la grande impresa e sappiamo bene che la grande impresa fa cose che la piccola non può fare. Ma siamo contro il sistema finanziario e bancario quando questo dimentica le sue funzioni fondamentali, che sono di creare sviluppo, benessere della popolazione, invece di creare crisi e contro-crisi che alla fine impoveriscono i molti e arricchiscono i pochi. Abbiamo bisogno di banche che stiano accanto agli imprenditori, accanto alle persone, e ci sono esempi di buone banche e di buone istituzioni finanziarie. È su queste che noi contiamo.

    Il prossimo governo avrà perciò un grande compito davanti a sé, dettato proprio dall’agenda economica, che per noi significa più occupazione, più credito, più sviluppo. Il nostro “spread” è quello tra la volontà, il sogno, delle persone di realizzare il proprio benessere e le difficoltà, poste dal sistema nel suo complesso, a realizzarle. Il nostro “spread” è tra la voglia di fare e la difficoltà a fare. Colmare per noi lo “spread” significa avere norme che aiutino lo sviluppo e le forme di imprenditoria più legate al territorio. È questa la nostra agenda e su questo siamo fortemente impegnati.

     

     

    7. Un fisco più leggero, più semplice, più vicino al cittadino

    Oggi il nostro paese ha raggiunto il massimo nella pressione fiscale. Più della metà della ricchezza che la nazione produce, in qualche modo, viene intermediata dal bilancio pubblico, e i cittadini sono scontenti sia per la quantità di tasse, sia per il modo in cui è organizzato il loro pagamento. Abbiamo troppe scadenze; abbiamo una grande incertezza sul modo di pagarle (basti pensare che si è saputo l’effettivo pagamento dell’IMU solo a ridosso della scadenza finale); abbiamo un esercito di consulenti che aiutano il contribuente a fare anche la più semplice della dichiarazione dei redditi.

    Naturalmente bisogna pagare meno tasse, soprattutto da parte delle piccole imprese e di chi lavora, mentre bisognerà colpire maggiormente le rendite, soprattutto quelle finanziarie. Ma occorre mettere mano anche agli aspetti organizzativi del sistema fiscale.

    Il primo punto è la semplicità: forse è possibile che il lavoro preparatorio, adempitivo, organizzativo delle dichiarazioni dei redditi, lo faccia il fisco al posto del cittadino. Ad esempio chi è lavoratore dipendente, e magari ha anche una o più proprietà immobiliari, senza altri redditi da lavoro indipendente o da operazioni finanziarie, potrebbe ricevere a casa una pre-dichiarazione da parte del fisco qualche settimana prima della scadenza e, se non ha da apportare cambiamenti, si reca alla scadenza all’ufficio imposte e paga quanto dovuto. Oppure, se non è esatta, proverà a correggerla o chiederà maggiori spiegazioni. Ecco, uno stato moderno, che instaura un rapporto di fiducia con i cittadini si comporta così, aiutando il contribuente, almeno sul piano delle procedure.

    Perché le dichiarazioni dei redditi devono essere un rompicapo, una cosa difficilissima, incomprensibile, tanto che si deve pagare un professionista per poter esercitare un diritto/dovere? È incredibile che oltre a pagare le imposte, bisogna pagare anche qualcuno che ci spieghi come e quanto dobbiamo pagare. Il fisco può essere più semplice. Naturalmente anche le norme devono essere più semplici. Perché un’imposta deve essere come un geroglifico da non poter essere compresa da una persona normale? Perché il linguaggio usato deve essere quello per iniziati, specialistico, distante dal senso comune? Perché non si possono usare parole semplici? Il Parlamento dovrà impegnarsi a scrivere le leggi del fisco che siano comprensibili da tutti.

    Bisogna poi assolutamente cambiare le norme che regolano il pagamento delle imposte dei professionisti e delle piccole e medie imprese. Bisogna passare al pagamento dell’Iva, ad esempio, per cassa e non per competenza. Adesso, in un momento difficile per l’economia, ci sono sempre più ritardi nei pagamenti e un’impresa si trova magari a dover pagare l’Iva senza ancora aver ricevuto il compenso cui l’imposta si riferisce. Allora per i professionisti e per le imprese con un fatturato sotto una certa soglia, bisogna cambiare registro, facendo valere il principio del pagamento per cassa. 

    C’è poi il grande tema dell’evasione fiscale, che dev’essere colpita duramente quando sono occultate ricchezze impressionanti, o semplicemente si nasconda tutto il reddito (o una sua buona parte) al fisco. Ma c’è anche una tematica che va tenuta presente, che riguarda le piccole aziende, magari anche a gestione familiare, che hanno una elusione fiscale, o non dichiarano completamente i redditi, magari di lavoratori non perfettamente contrattualizzati. Si tratta di far emergere il sommerso delle imprese e dei professionisti. Ma questo bisogna farlo con determinazione, ma anche con attenzione. Perché parte di queste imprese, senza sommerso, rischiano di chiudere, e allora il fisco perde le sue entrate, i lavoratori perdono il lavoro e l’imprenditore finisce la sua avventura economica. Allora bisogna studiare dei piani di rientro graduali. Si faccia un accordo con il fisco fissando ex ante un fatturato per l’anno successivo più elevato, e poi ancora di più l’anno successivo; insomma si stabiliscano dei piani di rientro che raggiungano l’obiettivo di far incrementare le entrate dello Stato, ma non distruggano l’attività economica.

    Creare poi delle “white list” delle imprese trasparenti. Ci possono essere delle imprese che volontariamente decidano di trasmettere all’agenzia delle entrate, mese per mese, i dati delle spese, delle fatturazioni, insomma di tutto ciò che inerisce alla contabilità aziendale. L’agenzia delle entrate farà ogni calcolo, tanto che non ci sarà più nemmeno bisogno di un commercialista per fare la dichiarazione annuale e si potrà prevedere un “bonus” di sconto sulle imposte, proprio per queste imprese che rispettano appunto i parametri di trasparenza e di aderenza alle migliori pratiche contabili e che possano quindi rientrare nella lista delle “aziende fiscalmente eccellenti” tenuta dall’Agenzia delle Entrate.

    Sono alcune proposte di buon senso, il cui fine è di arrivare a stabilire un nuovo patto generale tra il fisco e la società. Il fondamento di questo nuovo patto sta nell’incrementare la reciproca fiducia. Oggi il fisco vede nei cittadini e nelle imprese un soggetto tendenzialmente disonesto. E a loro volta i cittadini e le imprese vedono nel fisco un soggetto che agisce dall’alto, senza distinguere tra contribuente e contribuente, senza calarsi nelle situazioni concrete delle aziende, senza esercitare l’arte della distinzione e del riconoscimento della qualità di chi ha di fronte.

    Se il nostro Paese risolverà la questione fiscale, che significa meno tasse e meno evasori da un lato, ma anche una semplificazione di tutte le procedure e un maggiore rapporto fiduciario tra fisco e cittadini dall’altro, si potrà dire di essere in un paese davvero responsabile e moderno. Perché le imposte fanno pienamente parte del senso di responsabilità di un paese. È sventurato quel paese che non paga tasse, perché vuol dire che non ha servizi per la gente e che i servizi se li potrà permettere solo chi è ricco (erano così le società antiche e medioevali). Ma è ugualmente sventurato quel paese che si trova a pagare troppe tasse e in maniera non equa, non giusta, magari casuale, perché la singola persona le paga a seconda di come trae il reddito e di come lo spende, insomma da circostanze esterne al concetto di equità. Mentre l’ideale è che si paghi, come dice la Costituzione, in ragione del proprio reddito. 

    Senza un fisco equo non c’è un paese equo e senza un fisco equo si perde anche il senso di solidarietà di un paese. La tassazione da il diritto di cittadinanza ed è anche il modo attraverso cui una società cementa se stessa. Perché dalle imposte derivano le risorse per la sanità, per l’istruzione e per tutto il resto dei servizi pubblici. La tassazione è il vero nodo attraverso cui si vede se un paese è davvero coeso, è davvero unito, è davvero solidale. Ma la premessa è che questa tassazione sia equa e sia riconosciuta come tale dalla gente, da tutti i contribuenti. Più è diseguale, casuale, caotica, incerta, complicata, meno la gente si riconoscerà nel Paese.

    Una tassazione onerosa e iniqua porta il Paese alla dissoluzione. Allora bisognerà che su questo tema la prossima legislatura faccia chiarezza e s’impegni a migliorare tutto quello che c’è da migliorare. Non si pagheranno mai le tasse con il sorriso, ma si potranno pagare con serietà, sapendo che si paga il giusto e che quel che si paga ritornerà poi in servizi di qualità e benessere collettivo. È per questo che ci batteremo.

    Nell’accordo firmato con la SVP e il PD nazionale abbiamo previsto la gestione delle entrate tributarie da parte delle province autonome di Trento e di Bolzano. Per migliorare il PIL, ridurre il debito pubblico ed aumentare la soddisfazione dei cittadini serve che lo Stato fornisca i servizi necessari spendendo correttamente le risorse senza inefficienze (costi standard uguali a nord ed a sud) e che vi sia contemporaneamente un prelievo fiscale giusto e sostenibile. Per dare servizi, dalla sanità alle strade, dalla scuola ai servizi sociali, servono risorse. Per una corretta imposizione fiscale serve conoscenza del territorio, collaborazione con lo Stato sia nella definizione dell’imposizione fiscale che nell’elaborazione ed effettuazione dei controlli (l’accordo di Milano va finalmente attuato!). Evasione fiscale significa concorrenza sleale; ma contemporaneamente l’imposizione e la modalità dei controlli devono essere tali da non “strozzare” le imprese, dalle società più grandi, alla ditta più piccola, ma per questo non meno importante. E’ poi fondamentale avvisare prima i soggetti relativamente alle imposte da versare ed aiutarli negli adempimenti, non puntando sull’effetto sorpresa con controlli ex post. Vanno coinvolti i comuni e le comunità di valle, che sono più vicini ai cittadini, per individuare “il marcio” nel sistema. Un migliore utilizzo della spesa pubblica permette di fornire più servizi e ridurre il prelievo fiscale; i cittadini valutano i servizi forniti dall’ente pubblico, si invita ognuno a comunicare, a denunciare eventuali sprechi. Va fatto il monitoraggio di chi paga le imposte, di chi gestisce la spesa pubblica e della correttezza dell’operato dei dipendenti pubblici. Considerato il funzionamento “efficiente” del sistema Trentino è necessario che l’efficienza nella gestione si possa tramutare in minore pressione fiscale. Chi invece non agisce con efficienza ed efficacia che si “paghi” i propri buchi di bilancio. È più facile monitorare un sistema delle dimensioni come quelle del Trentino che uno con dimensioni molto superiori. La volontà di fare di risparmiare, di investire dei Trentini deve essere premiata Ad una buona gestione della spesa ne deve conseguire anche la possibilità di una creazione “sartoriale” del sistema imposte!

     

     

    8. La cultura come memoria e come modernità

    Nella mia esperienza di assessore alla cultura del Trentino, ho potuto sviluppare due concetti che mi stanno a cuore e che credo abbiano la possibilità di essere importanti anche nell’esperienza nazionale. Da un lato ho inteso la cultura non come un settore distante e distaccato dal resto della nostra realtà sociale. Quel che abbiamo fatto, lo abbiamo fatto per alimentare, sviluppare, con grande creatività, la nostra cultura, nei suoi ambiti. È stata una concezione non chiusa, ma aperta alla sperimentazione, alla capacità di essere in sintonia con il mondo. E la nostra piccola provincia ha potuto così dialogare con quanto di interessante si muove nella cultura al fuori della nostra realtà. Quindi la prima idea è che la cultura non è attività che serva a creare un mondo separato, lontano dalla gente comune, ma deve stare dentro le cose, dentro i sentimenti della gente normale, è una crescita di tutti, non è qualcosa di autoreferenziale. E sappiamo bene che la cultura è spesso il mezzo attraverso cui si crea la separazione tra la classe colta e quella che invece pensa ai problemi di ogni giorno. Per noi non è così: la cultura vive nella nostra storia, che è storia collettiva, storia dei tanti e non dei pochi.

    La seconda idea è che la cultura deve vivere nella - e della - modernità. Dobbiamo pensare alle nuove tecnologie che oggi servono ad avvicinare la gente alla produzione culturale. Viviamo nell’entertainment, nella produzione televisiva, nel mondo digitale, che presenta sempre ogni cosa sotto la luce dell’intrattenimento, della leggerezza, della divulgazione. Ecco, se vogliamo sempre più avvicinare la gente alla cultura, dobbiamo considerare queste nuove tecnologie, questi modi più accattivanti di presentare il contenuto culturale.

    La cultura finora è stata un mondo separato. La cultura è stata il mezzo attraverso cui si è inverato quel detto secondo cui il sapere è potere. Noi vogliamo proprio arrivare al punto che il sapere sia distribuito il massimo possibile, che della cultura si occupino tutti; che il sapere sia inclusivo e non esclusivo. Questi pensieri rispondono alla nostra ispirazione popolare, al nostro modo di sentire, che nasce dal popolo e pensa di crescere insieme al popolo e non contro di esso. Su questo punto la mia visione è molto radicale: proprio perché non credo alla cultura come visione separata del mondo, come un settore riservato solo a pochi, allora mi pongo il problema di come allargare sia la sfera delle persone coinvolte dalla cultura e vorrei che fossero in tanti a visitare i nostri come gli altri musei; sia di come la cultura si occupa della nostra storia, della nostra identità. L’identità è un fatto culturale, prima ancora che geografico, e abbiamo bisogno che la nostra cultura viva, dentro quest’anima identitaria. La cultura è qualcosa che ci appartiene interiormente, non è solo produzione culturale. Io penso che questo modello che abbiamo sperimentato in Trentino possa essere socializzato e utilizzato anche in altre aree del Paese, perché il Trentino serve anche a questo: a testimoniare come si possa crescere, essendo fedeli a se stessi e alle proprie tradizioni.

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    Segretario politico del Patt e Senatore nella XVII legislatura, sono nato il 24 Dicembre 1959 a Campodenno in Val di Non, nella piccola frazione di Quetta, dove ancora vivo. Ho frequentato il liceo scientifico a Cles e mi sono laureato in Scienze Forestali all'Università di Padova, ottenendo successivamente l'abilitazione alla libera professione.
    Fin da ragazzo ho condiviso i valori dell'Autonomismo, aderendo al PATT e avviando il mio percorso politico e amministrativo come consigliere comunale di maggioranza a Campodenno e capogruppo del mio partito nell'Assemblea comprensoriale della Val di Non.

    Sono sempre stato vicino, anche per tradizione familiare, al mondo agricolo e a quello dell'emigrazione: sono stato direttore dell'A.C.T. - Associazione Contadini Trentini e fra i promotori dell'attività dell'Unione delle Famiglie Trentine all'Estero.

    Dopo un periodo di “apprendistato” quale funzionario presso il Gruppo consiliare provinciale del PATT e, successivamente, presso la Presidenza del Consiglio regionale, nel novembre 1998 sono stato eletto Consigliere provinciale, sempre nelle file del PATT. Nel corso della dodicesima legislatura ho fatto parte del Governo regionale (prima esperienza di collaborazione del PATT con i partiti dell'area di centrosinistra), esercitando la competenza assessorile in tema di Cooperazione, Credito e Personale e nel novembre 2001 sono stato nominato Vicepresidente del Consiglio regionale.

    Nuovamente eletto nella tornata amministrativa del 2003, sono entrato a far parte della Giunta provinciale presieduta da Lorenzo Dellai. All'iniziale competenza in materia di Artigianato, si sono aggiunte nel corso della legislatura quelle riguardanti Interventi per lo sviluppo dell'Economia cooperativa; Catasto e Libro fondiario; Trasporti; Rapporti con l'Unione europea e Cooperazione transfrontaliera.

    Rieletto in Consiglio nel 2008 con oltre seimila preferenze, sono stato nuovamente chiamato a far parte della Giunta provinciale con competenze in materia di Cultura, Rapporti europei e Cooperazione. In questi quattro anni, dopo aver portato a termine la stesura delle Linee guida per le politiche culturali della Provincia, mi sono impegnato a darne attuazione favorendo, in particolare, la creazione di una logica di rete capace di coinvolgere una molteplicità di soggetti in grado di proporsi quale volano di sviluppo per un territorio consapevole della propria storia e, al tempo stesso, pronto a rispondere in modo consapevole e positivo alle sfide dell'apertura e dell'innovazione. Mi sono anche attivato nel dare sostegno ad iniziative mirate a far conoscere il nostro patrimonio culturale anche al di fuori dei confini provinciali e regionali.

    Alle elezioni politiche del febbraio 2013, sono stato eletto in Senato nel collegio uninominale di Trento dove, come candidato del centrosinistra autonomista, ho ottenuto più di 58000 voti, pari al 49,01%.

    In Senato faccio parte del Gruppo "Per le Autonomie - Psi - Maie".

    Sono membro e segretario della IX Commissione (Agricoltura e Produzione Agroalimentare), componente della delegazione NATO, vicepresidente dell'Intergruppo Parlamentare per lo Sviluppo della Montagna, segretario dell'associazione parlamentare "amici della Cina" e componente della Commissione dei Dodici. 

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