Cos'è l'ISIS - È un'organizzazione nata dalle ceneri della resistenza irachena dopo la guerra del 2003, per poi estendersi in Siria, il Libia e combatte al confine turco, nei territori a predominanza curda.
Vuole instaurare un nuovo Califfato ovvero un regime teocratico con a capo un Califfo, con il sogno di unificare sotto questa bandiera tutto il mondo arabo.
Ha, nei fatti, preso il posto di Al-Qaeda sul terreno della minaccia all'Occidente e ai valori occidentali.
Perché è un pericolo senza precedenti - Perché, a differenza di Al-Qaeda, intende la propria azione non solo in chiave antagonista verso l'Occidente, ma prefigura un immenso Stato-Nazione sotto cui riunire il mondo arabo secondo i precetti del radicalismo religioso.
Perché, forte di questo messaggio, si è dotato di una macchina propagandistica moderna ed efficace (i video delle esecuzioni), che utilizza le nuove tecnologie per entrare in contatto con le zone grigie e fare proseliti soprattutto tra i giovani delle comunità musulmane che vivono in Occidente.
Perché, nei territori che occupano, non si limitano solo a siglare accordi coi capi-tribù, ma erogano una serie di aiuti, costruendo un vero e proprio stato sociale che produce consenso sociale.
Le differenze con Al-Qaeda - L’obiettivo finale di entrambi il jihad globale, la guerra santa dell’Islam contro tutti gli infedeli del mondo. Con un “sogno”: conquistare Roma, il simbolo della cristianità.
Eppure le due organizzazioni presentano più differenze che convergenze.
Al Qaeda non ha mai avuto il controllo su un preciso territorio. L’Afghanistan ha rappresentato una base negli anni del regime talebano, ma Osama Bin Laden non ha mai avuto un ruolo “politico” durante la dittatura taliban a Kabul. Al contrario l’Isis, che non a caso è lo Stato Islamico, governa varie zone della Siria e dell’Iraq sottoponendo a un diretto controllo anche fiscale la popolazione di quelle zone. Il Califfo Ibrihaim, meglio noto con il nome di Abu Bakr al Baghdadi, esercita insomma un comando politico.
Le truppe dell’Isis sono formate da combattenti “regolari”. Gli scontri con l’esercito iracheno e con i militari di Bashar Assad in Siria sono avvenuti in una maniera “tradizionale”, in trincea, senza ricorsi a tecniche di guerriglia, e con una “catena di comando” abbastanza precisa. Al Qaeda, invece, ha sempre colpito il “nemico” in maniera irregolare con attentati di matrice terroristica come è accaduto l’11 settembre alle Torri Gemelle.
Osama Bin Laden voleva un Califfato, lo immaginava come il punto di approdo di un percorso, ma per la sua nascita attendeva il momento propizio affinché ci fosse la giusta unità nel mondo islamico. Abu Bakr al Baghdadi si è invece autoproclamato Califfo dopo aver preso il controllo di alcune zone tra Siria e Iraq: una sfida sfrontata, in quanto chiede una sottomissione al suo comando. Nemmeno Bin Laden, con il suo carisma, era arrivato a tanto.
Verso un'alleanza ISIS - AlQaeda? - Proprio ieri, il leader di al-Qaeda, Ayman al-Zawahiri, ha rivolto un appello all'unità dei 'mujaheddin' per lottare contro Stati Uniti e Russia e ha chiesto che cessino i combattimenti tra i miliziani islamisti in Siria: "Dobbiamo unirci, accantonare le dispute e cessare i combattimento tra i mujaheddin", ha detto al-Zawahiri in un audio diffuso sui siti web jihadisti nelle ultime ore.
La Siria come principale terreno di scontro - Il problema principale delle forze anti-ISIS, è il rapporto con il regime Assad e dove si registrano le maggiori frizioni tra Stati Uniti e Russia. La Russia (e l'Iran) lo sostengono. Gli Stati Uniti invece puntano a una sua destituzione. Gli USA da qualche settimana hanno dato via libera a dei raid aerei, però senza concordare gli interventi militari con la Russia, con il rischio di incidenti. Secondo alcuni osservatori non si registrava una tensione così alta tra i 2 paesi dai tempi della crisi dei missili a Cuba.
Putin, lo scorso 21 ottobre, ha ricevuto in patria Assad promettendo non solo sostegno militare ma anche uno di carattere politico.
Secondo molti osservatori per Putin l'ISIS è un pretesto per rafforzare il potere di Assad dopo le rivolte del 2011 e la presenza ancora forte di ribelli che rappresentano per il regime siriano un pericolo grande quanto l'ISIS.
Sullo sfondo c'è la sfida che la Russia ha lanciato all'America per aumentare le proprie zone di influenza, campagna che fino ad ora ha avuto il suo picco con la vicenda Ucraina. Non mancano tensioni con gli altri paesi confinanti, finanche la Finlandia.
Durante i vertici NATO ho riscontrato la freddezza dei paesi ex-sovietici verso la Russia. Temono di finire nuovamente nella loro area di influenza. Chiedono politiche di sostegno, anche economico, per affrancarsi dal punto di vista energetico e delle altre risorse fondamentali.
Gli Usa invece sono stretti da un lato dalla necessità di mantenere il loro primato mondiale, dall'altro temono di impiantarsi in situazioni come quelle dell'Iraq e dell'Afghanistan, che poi hanno portato all'emersione dello Stato Islamico. In fondo l'atteggiamento USA è coerente rispetto alla dottrina Obama della non-aggressione, che ha portato alla distensione dei rapporti con l'IRAN e con CUBA ma che si mostra debole quanto dall'altra parte vi è un competitor come quello russo.
La Libia, la Tunisia e la Turchia - Sono gli altri Paesi dove si gioca questa partita.
La Turchia, dove Erdogan è appena stato rieletto con la maggioranza assoluta dei voti, è contro l'ISIS, ma nelle zone di confine ad alta densità curda mostra atteggiamenti ondivaghi, non facendo tutto il possibile per frenare l'avanzata dell'ISIS. Le potenze occidentali hanno salutato con favore la conferma di Erdogan perché costituisce un elemento di stabilizzazione in un Paese parte integrante della NATO e con lo sguardo sempre volto all'Europa. Ed è così che sulla questione curda così come quella dei candidati arrestati prima delle elezioni, dei limiti imposti alla libertà di stampa, l'Occidente chiude un po' gli occhi.
La Libia è il punto di maggior avanzamento verso occidente del Califfato, forte anche di un quadro politico incerto e di un governo locale guidato da Tobruk che non trova il riconoscimento di tutte le tribù che invece riconoscevano l'autorità di Gheddafi. Tanto che per alcuni analisti l'unica opzione possibile è quello dello smembramento del Paese in due regioni, una a influenza algerina, l'altra a influenza egiziana. Non è un caso che alla conferenza di pace che si sta tenendo in questi giorni all'ONU partecipino delegazioni dei due paesi.
La Tunisia invece è l'unico Paese delle Primavere Arabe dove si è instaurato un regime democratico. E, anche qui, non è un caso che sia stato riconosciuto al quartetto che ha guidato la transizione del Paese, il nobel per la pace. Anche per questo è stato teatro di violenti attentati da parte dell'ISIS.
I focolai nel resto dell'Africa - Se l'ISIS (sotto il nome di AL DAESH) è presente con sue cellule in molti paesi del Nord-Africa, I gruppi terroristici affiliati all'Isis in Egitto e Algeria, sono al momento impossibilitati a divenire una vera minaccia nazionale grazie al massiccio uso della forza degli eserciti egiziano e algerino che hanno limitato notevolmente la possibilità di sferrare attacchi dei terroristi.
Se però questa strategia di penetrazione da parte dell'ISIS sembra difficile e per nulla paragonabile a quella che sta avvenendo il Siria e Medioriente, non mancano tensioni e attentati, come quello del college in Kenya, rivendicato da un gruppo vicino ad AlQaeda, dove morirono 147 persone.
Israele tra Siria e rischi nuova intifada - L'Isis si è detta pronta a colpire Israele. Da parte israeliana non mancano i bombardamenti verso la Siria, l'ultimo verso i nemici storici di Hezbollah.
Lo scorso mese, le crescenti tensioni tra Israele e Palestina, hanno fatto pensare alla nascita di una nuova Intifada, guidata da giovanissimi palestinesi, come reazione spontanea e di pancia per il crescente malessere, anche di carattere economico. Il primo ministro israeliano ha minimizzato, parlando di terrorismo da combattere anche perché, da più parti, viene sottolineato come oggi Israele non potrebbe permettersi i danni economici (e di immagine) di una nuova stagione di aspro conflitto coi palestinesi.
L'immigrazione - In particolare la difficile situazione siriana ha prodotto un'ondata migratoria senza precedenti che si è aggiunta a quella che già insisteva sulle coste italiane da diversi anni.
La vicenda siriana ha prodotto una svolta nell'atteggiamento dell'UE. Dopo anni d'indifferenza rispetto alle criticità italiane per le forti ondate, l'UE, grazie soprattutto alla spinta della Merkel, ha accolto le richieste italiane per affrontare la questione come un problema non solo di casa nostra.
Secondo molti analisti, il repentino cambio di strategia imposto dalla Merkel è funzionale per riaccreditare i tedeschi agli occhi dell'opinione pubblica europea dopo la vicenda Greca o comunque le misure che l'Europa impone soprattutto ai paesi della fascia mediterranea.
Nelle ultime settimane gli arrivi maggiori non sono più via mare, ma via terra, passando dalla Serbia e dall'Ungheria, che però ha eretto un muro sul confine. Secondo alcuni analisti un possibile nuovo ingresso potrebbe nascere attraverso il Friuli, ma ancora non ci sono particolari avvisaglie in tal senso. Da attenzionare anche la vittoria della destra in Polonia che potrebbe allinearsi su politiche simili a quelle ungheresi.
Rispetto alla gestione europea dell'emergenza, manca ancora un tassello all'accordo e riguarda la Turchia. La Ue ha offerto ad Ankara un'accelerazione sulla liberalizzazione dei visti, un finanziamento "da decidere nei prossimi giorni" a fronte di una richiesta di 3 miliardi di euro per la gestione dei campi, l'inserimento nella lista dei 'paesi sicuri' e l'apertura di 6 capitoli nel pluridecennale negoziato per l'adesione alle Ue. In cambio, il governo turco dovrebbe attuare davvero maggiori controlli alle frontiere, accettare le riammissioni, far partire la lotta contro i trafficanti e dare ai profughi siriani la possibilità di lavorare.
Il ruolo dell'Italia - Il presidente Renzi si è detto contrario a un intervento militare in Siria, sollecitando invece la nascita di una coalizione internazionale che metta attorno allo stesso tavolo Stati Uniti e Russia.
Sui tavoli internazionali, il nostro Paese si batte soprattutto per una gestione a livello europeo dell'immigrazione.
L'Italia, anche quando era sola nel gestire la crisi, con le missioni Mare Nostrum e Triton, ha sempre fatto prevalere le ragioni umanitarie e di salvataggio delle vite umane. All'ultimo consiglio europeo, che nei fatti ha messo fine all'accordo di Lisbona, c'è stato il sostanziale riconoscimento delle richieste che il nostro Paese fa da diversi mesi, soprattutto da quando la situazione del Mediterraneo ha assunto i connotati della grande emergenza umanitaria.
Il cambio di passo sull'immigrazione è anche nella flessibilità economica quote immigrazione/legge di stabilità. Cinque giorni fa, apertura da Bruxelles sulla concessione di margini finanziari in risposta alla crisi dei migranti: la Commissione europea, ha detto Juncker, "applicherà la flessibilità" alle spese per i rifugiati perché "siamo di fronte ad una situazione di eccezionalità", ma tale flessibilità sarà "applicata Paese per Paese" e purché siano dimostrati "sforzi straordinari".
In particolare del ruolo dell'Italia, se ne tornerà a discutere a fine mese al GSM di Firenze.
L'Europa e la Cina - L'Europa deve svolgere un'azione stabilizzatrice. Un po' come ha fatto coi flussi migratori, deve saper prendere in carico anche la vicenda politica.
La Cina guarda con preoccupazione, ma si dice equidistante rispetto alle frizioni USA vs Russia. Bisognerà capire, nei prossimi mesi, quanto è grave la crisi economica che ha portato, per la prima volta nella sua storia, alla svalutazione della sua moneta. Circa il protagonismo cinese in chiave internazionale, molto dipenderà da questo.